L'Africa non ha bisogno di aiuti

Couv livre afrique aide

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A cosa assomiglia l’Africa, a cosa la si può paragonare? A questa domanda l'autore risponde che l'Africa somiglia ad un paziente inchiodato al letto, a cui vengono somministrati sonniferi per tenerlo addormentato, invece di una vera e propria cura che lo rimetta in piedi. L'autore vede nei diversi tipi di aiuto all'Africa una sorta di terapia fatta di “valium”, consapevolmente studiata e studiosamente applicata, in modo tale da mantenere questo continente in uno stato di continua dipendenza e assicurarne così il controllo da parte di un Occidente sempre in ricerca di strategie di dominio, a fronte di un'Africa volutamente stigmatizzata e scelta come indirizzo fisico della povertà.

Come liberarsi da questa ricolonizzazione che si protrae attraverso un sistema di aiuti che costituisce una sorta di esca? Il libro esordisce denunciando la deriva di un aiuto che in realtà non aiuta, e che è frutto di una diagnosi errata, risolutamente posta in modo tale da far gravare sull'Africa la catena di umiliazioni storiche di cui è sempre stata vittima.

L'idea di un'Africa volutamente definita come icona della povertà contrasta evidentemente con la sua fama di continente dalle immense ricchezze, di cui il mondo ha bisogno per il suo avanzamento ed il suo mantenimento.

Il ruolo della comunicazione attraversa da una parte all’altra questo processo: la presenza sugli schermi giganti e in televisione, sui vari media, delle immagini degradanti / umilianti dei bambini e della vita nel continente nero, con lo scopo di mobilitare all’aiuto, impatta sulla percezione che gli europei hanno degli africani, creando pregiudizi, stigmate, stereotipi di ogni genere. Dell’Africa si parla solo per i suoi mali. Una comunicazione dal “cliché” coloniale che decisamente ha plasmato il processo di stigmatizzazione del continente nero, legittimando così il meccanismo di aiuti come risposta alla sua endemica “povertà”. È la comunicazione che diffonde l’idea di un’Africa malata che ha bisogno sempre più di cure. Ma, dopo tanti anni di aiuto, l’Africa resta la stessa, nessun cambiamento significativo. È allora il caso di chiedersi: cosa non funziona?

In quest’ottica, la cooperazione internazionale viene vista dall’autore, come un prolungamento strategico della colonizzazione. Infatti, l’altro ieri, per l’Occidente, gli africani erano i propri schiavi, ieri i propri indigeni da “civilizzare” (colonizzati) e oggi sono i propri poveri (da aiutare). Cambiano solo i concetti, la realtà è la stessa, quella di un rapporto squilibrato tra un potente e un debole (da indebolire sempre più).

L’intuizione di questo libro nasce da un articolo del giornale Le monde del 21 marzo 2006: «E se l’Africa si sveglia, la rimanderemo a riaddormentarsi» (del giornalista Hugues SERRAF).

Rimettere la “malata” Africa in piedi si farà prima di tutto grazie ad una comunicazione con una nuova narrazione spogliata di ogni cliché coloniale, una comunicazione “impegnata”.

Restituire l’immagine di un’Africa diversa da quanto volutamente descritta, è il compito pregnante degli Africani che, una volta consapevoli delle strategie del medico auto-proclamato con le sue terapie ingannevoli, basate su una falsa diagnosi, decidono di riprendersi in carico. Tutto questo richiede una serie di nuovi sguardi e nuove prospettive (sulla povertà, sull'aiuto, sulla comunicazione) che devono essere tradotte in termini di "nuovi paradigmi". Un tale processo deve passare attraverso il rifiuto dell'aiuto che in realtà non aiuta. I leader politici africani devono creare valori, in modo da assicurare a questo continente la sua vera indipendenza. Dobbiamo educare e istruire le popolazioni africane alla consapevolezza di essere, di appartenere, di fare ed investire per un'Africa dignitosa e in piedi.

Il libro non scocca una freccia a senso unico (verso l’Occidente). Anche gli africani hanno la loro parte di responsabilità: il vittimismo, la corruzione, il mal governo e tanti altri mali che fanno sì che l’aiuto non aiuti.

Il libro soprattutto non prende di mira gli aiuti individuali, con tanti volontari che realmente e sinceramente si adoperano per procurare il sorriso a qualche povero, ma mette in discussione il  sistema di aiuti internazionali attraverso la cooperazione internazionale, le ONG e gli organismi come la Banca mondiale o i fondi mondiali internazionali, un sistema che tiene i paesi africani con la corda al collo, con debiti a non finire e che è una vera “fabbrica” di povertà.

Qualunque sia il tipo, un vero aiuto non deve ripetersi eternamente, se no, allora, non aiuta.

L'affermazione "l'Africa non ha bisogno di aiuti" può essere giustificata dal seguente ragionamento:

  1. Se il continente nero abbonda di tutte le ricchezze e miniere possibili, come si può giustificare la sua povertà, che giustifica gli aiuti che gli sono dovuti? Chi è ricco in realtà non ha bisogno di aiuto.
  2. Se il sistema di aiuti, nel modo in cui funziona, deve prendere dai paesi africani 100 volte di più di quanto essi ricevono in termini di prestiti e rimanere eternamente indebitati, si può allora parlare di aiuto? Sarebbe più onesto parlare di un sistema di sfruttamento, di controllo e di sottomissione.
  3. I leader africani devono inginocchiarsi davanti a coloro che si organizzano per saccheggiare le loro ricchezze e chiedere aiuto implorando la loro benevolenza? Se amano i loro popoli e gestiscono onestamente i loro Stati, lottando contro la corruzione, il furto o l'appropriazione indebita..., non avrebbero nessun motivo di subire umiliazioni e imposizioni, secondo il buon adagio: "la mano che dà è sempre al di sopra di quella che riceve.
  4. Se per più di 60 anni miliardi e miliardi di dollari sono stati riversati all’ Africa in termini di aiuti, senza realmente cambiare le condizioni di vita delle popolazioni, anzi senza raggiungere il suo obiettivo, significa che qualcosa non funziona in questo processo. Sugli aiuti, infatti, gravano molti sospetti, sia nell’ intenzionalità, nel contenuto che nello svolgimento.
  5. Se il clima di insicurezza e di guerra deve giustificare l’esistenza di alcune strutture di aiuto, come le ONG internazionali, e la maggior parte di esse non esisterebbero se tutto fosse tranquillo (senza guerre né calamità), per una pace duratura, dovremmo voltare le spalle ai “pompieri” che sono anche accusati di essere “incendiari”.
  6. Se l’aiuto deve viaggiare nelle valigette di quelli che producono per vendere, e alimenta in questo modo un sistema capitalistico che non vede altro che l’interesse, allora si dovrà aspettare in vano che esso sia efficace e che sia la soluzione all’emergenza dell’Africa.
  7. Infine, se l’aiuto non è la soluzione ad un problema che sarebbe la povertà, bensì il problema stesso, e la sua principale causa, uscire dalla trappola significa applicare una contro-strategia della strategia (sospettata o reale), rifiutando ogni aiuto.

Date de dernière mise à jour : 17/05/2023